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disintegrarsi
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- Creato Sabato, 14 Aprile 2012 06:26
- Ultima modifica il Sabato, 14 Aprile 2012 06:26
- Pubblicato Sabato, 14 Aprile 2012 06:26
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Kamsu Tchuente aveva già fatto pubblicare nella rivista el-ghibli n. 1 un racconto dal titolo la solitudine, nel quale sono evidenti alcuni aspetti di libertà narrativa che lo scrittore di origine camerunese si concede. Quel racconto era scritto in francese ed è stato tradotto in italiano a cura della rivista. A distanza di due anni Kamsu Tchuente si cimenta con un romanzo scritto in italiano.
Nel capitolo primo di questo breve testo sono indicati i tempi in cui la narrazione viene racchiusa . E’ pur vero che nel successivo capitolo l’io narrante riporta avvenimenti avvenuti prima del 12 giugno 1985, momento d’avvio dei fatti, ma sembra che si voglia sottolineare la data sopra indicata come inizio significativo della vicenda raccontata.
Il significato che il narratore vuole consegnare è racchiuso negli avvenimenti che l’io narrante attraversa fra il 12 giugno 1985, arrivo del protagonista in Italia e il novembre 2003, momento in cui l’io narrante ritiene importante consegnare ad uno scritto le esperienze sue e di altri. Ma il capitolo primo serve anche a mettere il lettore sull’avviso che la storia riportata, pur se narrata in prima persona, “non è un romanzo autobiografico”.1
Il “parere dell’editore”, posto nella quarta di copertina lascia invece supporre che si tratti proprio di autobiografia perché scrive “il dott. Kamsu ce l’ha fatta non grazie a noi, ma malgrado noi gli avessimo chiarito subito, all’arrivo che il suo destino era secchio e ramazza”. In un risvolto di copertina allorché si riporta brevemente la biografia dell’autore si legge testualmente: “Joseph M. Kamsu Tchuente. La storia di Bernard è la sua storia”.
La precauzione del narratore al primo capitolo viene annullata dalla dichiarazione del risvolto e indirettamente della quarta di copertina.
E’ una contraddizione che non si spiega, o almeno è spiegabile perché ogni autore che si rispetti, pur attingendo alle proprie esperienze la materia di quanto va raccontando, preferisce allontanare da sé il sospetto della pura biografia che renderebbe, salvo casi eccezionali, il testo meno apprezzato letterariamente. L’editor, invece, ha bisogno della vendita della “reality”, più commercializzabile.
La storia di Bernard, narrata in Dis-integrarsi, cercando la libertà, rimanda a testi come Io venditore di elefanti, La promessa di Hamadi, Chiamatemi Alì, cioè di denuncia delle condizioni di vita, di esistenza di un qualsiasi straniero che arriva in Italia.
Bernard non è però un clandestino, è uno straniero importato da una associazione di solidarietà, che sembra avere l’obiettivo di formare in Italia talenti africani perché poi possano portare un fattivo contributo alla crescita del loro paese.
Il processo formativo prevede però sfruttamento, assoggettamento a regole che annullano la personalità di coloro che si dice di volere aiutare.
Ma anche il riscatto e l’allontanamento da questa struttura solidaristica non risolve in positivo il rapporto fra lo straniero e il paese ospitante, perché il protagonista si accorge che la emarginazione, la sottostima, la esclusione sono elementi costanti a cui uno straniero è costretto. “L’integrazione non è un diritto, purtroppo…e ti servono anni, lavoro e reddito a sufficienza per pretendere di ottenere l’integrazione che esige buona condotta, casellario giudiziario pulito, e pazienza e pazienza”.
La denuncia della costante umiliazione a cui uno straniero è sottoposto è indicata dallo stesso titolo del libro: “Dis-integrarsi”, come sotto titolo “cercando la libertà”. Nel titolo si esprime la dialettica esistente fra il tentativo di far integrare Bernard perpetrato dal paese ospitante e che prevede la mortificazione dei suoi talenti, delle sue qualità, la rinuncia a progetti di vita e di posizione più umana e la ricerca della propria libertà che si può ottenere solo rifiutando l’integrazione. La libertà si ottiene dis-integrandosi, quindi opponendosi a quanto ancora il Nord del mondo tenta di fare nella dis-accoglienza degli immigrati, ignorandoli, mantenendoli in condizioni di illegalità, continuando in Europa lo sfruttamento iniziato secoli fa nei loro territori.
E’ un tema, forse non trattato a fondo nel testo di Kamsu, ma che necessita di essere posto all’attenzione di associazioni, politici, Enti pubblici che si riempiono la bocca della cosiddetta “politica dell’integrazione”.
C’è un altro aspetto che diversifica Dis-integrarsi dai testi della prima fase della letteratura della migrazione. In questo libro viene trattato anche il tema dell’innamoramento, del tentativo di stabilire e rafforzare rapporti sentimentali, anche se sembra proprio per questo cedere a schemi e cliché preconfezionati.
Il pregio maggiore di questo breve romanzo si ascrive nei valori che si vogliono veicolare e proporre. La narrazione è una affermazione della dignità della persona di fronte ai tentativi di annullamento, di strumentalizzazione dello straniero specialmente quando si presenta come fatto solidaristico.
Ancora una breve nota su la lingua utilizzata.
Sempre nella quarta di copertina l’editore scrive “Ed è per questo che ho voluto che la redazione non toccasse di una virgola il traballante e affascinante italiano del dott. Kamsu”. Dopo questa premessa ciascuno si attenderebbe una espressione linguistica al limite della correttezza, specialmente sul piano della struttura della frase che è quella che più significativamente può rivelare incertezza linguistica. Oggi il P.C. permette l’eliminazione della maggior parte delle incertezze ortografiche, dramma per molti stranieri che a volte non sentono i suoni della lingua italiana.
Invece si trova qua e là qualche svarione come il “da” verbo senza accento, oppure “gli” per “le” o pochissimo altro. Sono proprio gli elementi che il “word” non riesce a rivelare come errori. La struttura della frase appare lineare, simile a quelli di tanti stranieri che usano frasi semplici con poche subordinate. Si potrà dire che il linguaggio non è elegante, ma che la lingua sia traballante sembra eccessivo, ed ancora una volta non si comprende perché si sia espressa questa precauzione. Per “mettere le mani avanti”, oppure come “captatio benevolentiae” del lettore.
1 J. M. Kamsu, DIS-INTEGRARSI, pag. 10
04-12-2005