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nell'uovo cosmico
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- Creato Venerdì, 13 Aprile 2012 21:07
- Ultima modifica il Venerdì, 13 Aprile 2012 21:07
- Pubblicato Venerdì, 13 Aprile 2012 21:07
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Le tematiche della letteratura italiana della migrazione sembravano riferirsi a nuclei ben definiti che ponessero sempre in primo piano la facilità/difficoltà dell’accoglienza dell’immigrato e il rapporto con la comunità ospite. Anche il tema del ritorno poteva essere ascritto alla tematica fondamentale dell’incontro/scontro fra straniero e autoctoni, e dell’influenza con cui i vari momenti agonici avevano marcato lo straniero. La costante emancipazione da queste tematiche, frutto anche di una maturazione linguistica e dell’affermazione di un meticciato culturale che non fa sentire più estranei, dà vita a testi narrativi che se non rifiutano le tematiche sopra accennate ne sono lontanissimi e si pongono su un altro piano di intenzionalità e di ricerca poetica.
Nell’uovo cosmico di Helene Paraskeva il momento ispirativo centrale è dato dalla liberazione della fantasia che si distende, si dilata in una ricerca continua di soluzioni da dare alla storia che si intrica nella parte iniziale per poi dipanarsi con un susseguirsi di colpi di scena che man mano svelano il senso e significato profondo del testo.
E’ un giallo che si presenta ai lettori nei suoi aspetti investigativi come uno strumento che mette in luce le strutture profonde della nostra societa', analizzandone i vari aspetti: le distorsioni del potere e le lotte per raggiungerlo, la centralità del disvalore della ricchezza, la deviazione del mercato da una dimensione di rapporto semplice di domanda-offerta, ad una affaristica di mediazione ove la dimensione uomo è del tutto ignorata.
Alcuni elementi della struttura del testo sono significativi perché si connettono con il mondo culturale di provenienza della scrittrice e conferiscono al romanzo una caratteristica classica pur in un intreccio narrativo estremamente dinamico e configurato su azioni e allusioni a situazioni di vita proprie del nostro tempo.
Il primo e più appariscente è dato dal riferimento a tempo e spazio (location; tempo) posto all’inizio di ogni capitolo. E’ evidente e scontata la stretta relazione con la struttura teatrale e con quella della tragedia greca classica fissata dalle tre unità aristoteliche. Il libro acquista la dimensione di tanti quadri teatrali quanti sono i capitoli in cui è definita e posta fin dall’inizio la dimensione spaziale e temporale (la scena e il momento della rappresentazione). Il lettore reagisce positivamente concentrandosi essenzialmente sull’intreccio.
La specificazione spaziale e temporale crea anche l’effetto della separazione fra lettore e vicenda raccontata. Il lettore è assimilato allo spettatore del teatro che viene coinvolto nella vicenda del dramma senza però identificarsi in nessun personaggio.
Nella forma narrativa l’inclusione dello spazio-tempo all’interno della narrazione funge da strumento cooptativo. Il narratore prende per mano il lettore, gli presenta i vari personaggi, lo introduce in una dimensione spazio temporale collocandolo all’interno della vicenda. Quando il tempo e lo spazio sono separati dall’azione il coinvolgimento si situa nell’azione e non nel personaggio.
Leggendo questo testo si ha l’impressione di essere su una gradinata con una serie di scene che si presentano collocate temporalmente in momenti differenti.
Tuttavia il testo propostoci da Helene Paraskeva non è un testo teatrale ove di norma non esiste un narratore perché l’azione si sviluppa e si comunica mediante la forma dialogica. Nell’uovo cosmico esiste, invece, un narratore in prima persona, anche se la sua presenza è contenuta ed espressa solo in modo essenziale.
Il romanzo investigativo della scrittrice di origine greca si presenta come una sperimentazione ove la forma del teatro e del romanzo tendono a fondersi e contaminarsi.
L’altro è dato dalla dimensione mitica, misterica della struttura narrativa. La vicenda è ricollocata, mediante il riferimento al culto di Mitra, ad un parametro classico. Anche gli appellativi di alcuni protagonisti qualificano la relazione a figure mitologiche. E’ il caso della Gorgone, di Mercurio o di Adone. Ma altresì altri appellativi trasportano la vicenda in un clima da malavita. E’ così per soprannomi come il “laido”, “l’oscuro”. Questa connessione fra mitologia, culto di Mitra, appartenente all’area misteriosofica, e codici della malavita organizzata fanno del romanzo di Helene Paraskeva qualcosa di interessante, perché si colloca il reale su un piano metaforico. Il testo della scrittrice fa riflettere anche per altri elementi significativi. L’investigazione ha come protagonista una dilettante, “Petulina” così chiamata dal defunto marito forse perché era un po’ appiccicaticcia, chiedeva tutto e non sopportava le lunghe e improvvise assenze del marito. E’ un personaggio sostanzialmente debole, insignificante che sempre più acquista un ruolo decisivo e forte.
Tutti vorrebbero prendersi gioco di lei o usare lei per propri scopi. Ma alla fine è determinata quando incomincia ad intuire che suo marito è stato ucciso e vuole scoprire come e per quale ragione. Il lettore fino alla fine però non comprende i veri scopi dell’investigazione di Petulina. Il romanzo sembra voglia dimostrare una tesi e cioè che le persone apparentemente più deboli sono poi capaci di grandi azioni, di eroicità. Alla fine il testo si rivela anche come un delicato ricordo dell’affetto stroncato per l’uccisione del troppo amato marito.
Nella vicenda appaiono anche “extracomunitari”, sfruttati perché oggetto di traffico e quindi merce per arricchire la solita malavita.
E’ un tributo che la Paraskeva assegna a persone che se non hanno fatto il suo stesso percorso tuttavia sono costrette ad allontanarsi dalla loro terra d’origine alla ricerca di soluzioni di vita più consone per esseri umani.
09-05-2006